15/03/2017
LA LEGGENDA DI LAYANA
I nani che si affacciano a guardare dal muro di Villa Valmarana ai Nani, lungo la strada che una volta portava alla chiesetta di S. Bastian, hanno ispirato una leggenda che preso il volo dalle bocche dei visitatori, ha continuato negli anni a posarsi sui fogli delle cronache cittadine e sulle pagine dei libri.
Si narra di un antico signore, un nobile ricco e severo, di quelli che disegnarono colline e pianure del Veneto con una fitta rete di vie d’acqua e coltivi, tracciando l’immagine della Civiltà della Villa. Il signore attendeva con ansia la nascita di un primogenito che potesse raccogliere ed espandere l’eredità paterna. Dopo tanta attesa il momento era arrivato, ma quando la fantesca uscì dalle stanze della signora ecco la prima delusione: era nata una fanciulla. E dopo poco tempo l’altra delusione: quanto il suo volto cresceva in bellezza, tanto il suo corpo rimaneva minuscolo.
Il signore della villa si tormentava all’idea che la piccolezza di sua figlia la condannasse ad un futuro di rifiuti e di scherni. E forse fu la affettuosa balia a suggerire una soluzione: racchiudere la piccola Layana in una prigione dorata, in cui tutto, cose e persone, fosse a sua misura, in modo che mai avrebbe dovuto scontrarsi con la crudeltà del mondo. Mentre scalpellini e tagliapietre venivano chiamati ad edificare un giardino segreto, un servitore fidato partì in gran segreto per arruolare la corte della piccola signora. Per mari e per monti, dovunque se ne aveva notizia, il servitore munito di una ricca borsa andava a far collezione di nani. Buffoni di corte ed esperti artigiani, acrobati e cantatrici, falconieri e serventi, dopo un lungo viaggio ecco una notte approdare al porto un burchiello, e discenderne una strana processione tra cui si notavano diciassette minuscole figure.
Layana poté così vivere la sua fanciullezza in un mondo incantato, dove mai nulla veniva a turbare l’equilibrio di un mondo minuscolo come una casa di bambola. Piante nane e minuscoli cagnolini, pappagallini e scimmiette, libretti miniati e strumenti musicali giocattolo creavano una collezione unica di miniature che provenivano da ogni parte del mondo.
La leggenda racconta che un giorno, mentre Layana ormai cresciuta stava giocando a mosca cieca, una musica al di là del muro aveva colpito la sua attenzione, e sportasi nonostante la sorveglianza dei suoi cortigiani, la sguardo di un magnifico cavaliere in un istante aveva rubato il suo cuore. Quella stessa notte il cavaliere, anche lui colpito dalla dolcezza del viso appena intravisto oltre il muro, era tornato a passeggiare sotto il palazzo proibito, ed attraverso una grata, Layana aveva potuto scambiare con lui parole e promesse d’amore.
Ma quando il cavaliere aveva voluto scavalcare il muro e si era trovato di fronte alla giovane, lo stupore e la delusione dipinti sul suo volto erano così chiari da non lasciare dubbi neppure a chi era sempre vissuto lontano da tutto. Il meraviglioso gigante di cui lei si era innamorata non avrebbe mai potuto ricambiare il suo amore. Il cavaliere era già fuggito lasciandola sola quando Layana, che in un attimo aveva compreso l’inganno dorato in cui era vissuta fino ad allora, salì in piedi sul colmo del muro, si riempì gli occhi della pianura, delle luci lontane, del fiume che scorreva ai piedi del colle, delle stelle che bucavano la profumata notte di primavera, e come una stella si lasciò precipitare dall’alto.
La leggenda racconta ancora che i cortigiani, non trovando più la loro piccola signora, la cercarono per tutto il palazzo ed il giardino fino a che uno di loro per primo si affacciò alla sommità del muro e rimase immobile a guardare, seguito via via da tutti gli altri, impietriti dal dolore. Quando i primi raggi del sole si scossero dal mare lontano per illuminare la cima delle colline, bagnarono di luce dorata diciassette nani di pietra, che da quel giorno rimangono muti custodi dello sfortunato amore di Layana.
Autore del testo: Carlo Presotto
Estratto dalla pubblicazione: "Un grande passato nel nostro futuro", Copyright 2007